E’ arrivata nel pomeriggio la decisione della FIGC di sospendere i campionati dilettantistici. Dopo settimane di tira e molla si è arrivati alla conclusione che non c’erano più le condizioni per far riprendere i campionati. Tutto finito, dalla serie D alla Terza categoria. Il Coronavirus ha sconfitto quella voglia di vero calcio che batte nei cuori degli sportivi in queste categorie, calciatori per passione, che sfidano famiglie e lavoro per scendere in campo la domenica e sentirsi per 90′ minuti come i fenomeni che calcano i campi della serie A. Eppure la voglia di riprendere a giocare c’era, anche in estate con 40 gradi all’ombra, ma ciò non è bastato.
Lo stop di oggi pone fine alla speranza, il crollo di un mondo che si può sacrificare perché non sono i professionisti. Ci chiediamo se è giusto, migliaia di persone fermate solo per lo status da dilettanti. Invisibili, vittime di un sistema che non fa parte del gotha, calciatori, allenatori, presidenti che non viaggiano in prima classe ma sono relegati nella stiva, come merce dimenticata pronta ad essere sacrificata, gli agnelli che possono andare al macello. E’ giusto fermarsi? Probabilmente si, ma bisognava farlo tutti insieme come in Francia, invece il calcio in Italia ha dimostrato che esistono due velocità, due treni diversi, dove la massa può essere sacrificata per permettere all’elite di continuare. E tanti saluti ai sacrifici di chi a marzo rispettava tabelle, si allenava in cucina, fuori al terrazzo e soffriva perché economicamente era senza tutele.
Siamo noi i veri invisibili, quelli per cui non ci sarà il lieto fine, non ci sarà una ripresa ma solo un “arrivederci e grazie”. in Italia si fanno due pesi e due misure e a pagare saranno sempre i più deboli.
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