La bulimia comunicativa del governo Conte
Tempo addietro la leader di FDI, Giorgia Meloni, ci aveva visto lungo sull’operato del governo nei confronti della pandemia. “La bulimia comunicativa del governo Conte” – così l’aveva etichettata la Meloni a “L’aria che tira” su La7 – ha generato una situazione davvero difficile. Le colpe non risiedono soltanto nella grande confusione comunicativa del governo, ma si possono ritrovare soprattutto nella sottovalutazione della pandemia da coronavirus.
Inizialmente la situazione era “sotto controllo“, difatti bisognava evitare allarmismi continuando le normali attività quotidiane come se niente fosse. Poi è avvenuto il dietrofront e l’Italia è diventata zona protetta, ma in netto ritardo. Si è venuta a creare un’orgia comunicativa che ha portato gli italiani a sviluppare delle pericolose forme di psicosi collettiva. Il governo avrebbe dovuto dare un corretto indirizzo sin dall’inizio della pandemia, ma non è andata così.
Prima l’isolamento lombardo, poi la fuga di migliaia di persone tramite voli e treni al sud, la stampa americana che ci indica come i principali untori del coronavirus e l’Italia che diventa, finalmente, un’intera zona rossa.
Dalla coppia cinese dello Spallanzani ai 17.785 casi di ieri
Dalla coppia cinese dello Spallanzani ai 17.785 casi di ieri, sotto i ponti della comunicazione del governo n’è passata di acqua, spesso parecchio torbida. Ad inizio 2020 il coronavirus sembrava una minaccia lontana e isolata all’estremo Oriente. Poi l’arrivo della coppia cinese infetta allo Spallanzani ha iniziato a creare del subbuglio. Il consiglio dei ministri dichiarò ufficialmente lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario e stanziò 5 milioni di euro. Nel frattempo si affrettò a chiudere il traffico aereo da e per la Cina.
Le dichiarazioni di Conte invitarono alla calma: “Vi assicuro che non c’è alcun motivo di creare panico e allarme sociale. Abbiamo agito in funzione preventiva. E continueremo a seguire con il massimo dispendio di risorse e di energie per assicurare protezione a tutti i cittadini”. Clicca qui per sentire la dichiarazione completa
Tutto sembra essere orientato verso la risoluzione del problema, ma tra il 20 e il 21 febbraio, a Codogno, un uomo di 38 anni viene ricoverato per problemi respiratori: è il primo caso di contagio da coronavirus in Italia. Da quel momento la pandemia comincerà ad espandersi a macchia d’olio nelle varie province e regioni italiane, creando un enorme focolaio in Lombardia.
Da qui in poi nascerà un valzer di eventi atti a calmare delle acque già in tempesta. Il PD di Milano, ad esempio, si riunì a Chinatown per non lasciare da sola una delle più fiorenti comunità cinesi dello Stivale. Si predicò la calma, fregandosene della tempesta in arrivo. Clicca qui per leggere il comunicato di Adnkronos
L’ignobile attacco all’ospedale di Codogno
Conte, in piena emergenza da coronavirus, segnerà un autogol che verrà ricordato a lungo. Il suo ignobile attacco nei confronti dell’ospedale di Codogno è stato etichettato come “irricevibile e offensivo” da parte di Giulio Gallera e Attilio Fontana, rispettivamente assessore al Welfare lombardo e Presidente della regione Lombardia.
Il premier aveva difatti dichiarato ciò: “Abbiamo due focolai del virus (Codogno in provincia di Lodi e Vo’ Euganeo in quella di Padova) uno dei quali è nato complice di un ospedale che non ha osservato determinati protocolli favorendo la nascita di uno dei due focolai che cerchiamo di contenere con misure draconiane”.
Conte si era inoltre aperto alla contrazione del potere delle regioni. Di certo si è trattato di un attacco pesante nei confronti di medici e infermieri che tutt’oggi combattono in prima linea e senza sosta contro un nemico forte e senza scrupoli. È sembrata un’operazione di scarica-barile, come se Codogno non facesse parte dello Stivale.
La TV invasa da medici e dichiarazioni fuorvianti
Le televisioni degli italiani in queste ultime settimane stanno facendo gli straordinari. Praticamente ovunque si parla del coronavirus e spesso c’è pure il premier Conte. Nella giornata del 23 febbraio l’Italia è ancora “libera” e Conte decide di presenziare per più di quindici volte nelle varie emittenti televisive. Il premier cerca di calmare il popolo che lo ascolta, ma difatti crea ancora più confusione. Sono molteplici le sue dichiarazioni, le quali accavallandosi non fanno altro che creare scompiglio.
Il popolo decide di assaltare le farmacie e i supermercati. C’è chi compra le mascherine e chi fa razzia di provigioni per affrontare una quarantena non ancora dichiarata. Nel frattempo, in televisione, si affiancano agli ormai stranoti presentatori di Rai e Mediaset, numerosi medici provenienti da tutta Italia, i quali danno un’interpretazione non univoca sul coronavirus con l’effetto di mandare ancora più in tilt la già fragile salute mentale degli italiani.
Le due fughe: quella nel Meridione e quella del decreto legge
Ciò che è avvenuto la sera dell’otto marzo ha dell’incredibile. Vi sono state due fughe: quella dal nord in quarantena al sud non ancora colpito e quella del decreto legge. In ordine temporale però, la seconda scavalca la prima. Attilio Fontana non ne può più. Dopo le accuse di Conte alla sanità lombarda, adesso trapela una bozza pasticciata del decreto legge che ha provocato caos e isteria in Lombardia. Il Presidente della regione Lombardia adesso è deciso a denunciare l’operato del governo.
Migliaia di persone si riversano tra le stazioni di Milano Centrale e Porta Garibaldi con la speranza di poter prendere un treno diretto verso il sud non ancora colpito. L’esecutivo giallorosso ha appena compiuto il suo errore più grande. Non si sa ancora per colpa di chi. Il coronavirus poteva essere circoscritto, ma con questa fuga l’estensione della zona rossa a tutta l’Italia sarà soltanto questione di pochi giorni, come difatti è avvenuto.
Duplice errore in questa situazione, la colpa non è soltanto dell’esecutivo, ma anche dei giornali. Innanzitutto il testo di un decreto legge così importante andrebbe secretato e successivamente pubblicato soltanto quando si ha la certezza di ciò che è stato scritto. Come detto poc’anzi, la colpa è anche dei giornali, i quali non avrebbero dovuto pubblicare il testo creando una pericolosa isteria di massa e un grande rischio di contagio al sud, il quale è stato analizzato qui.
Le manchevolezze del servizio pubblico e dell’UE
Le manchevolezze del servizio pubblico e dell’Unione Europea sono sulla bocca di tutti. La Rai si sarebbe potuta organizzare meglio sulla comunicazione regionale. Dal ministero della salute capitanato da Roberto Speranza hanno successivamente corretto il tiro. Prima il ministro ha dichiarato che: “L’Italia è un grande Paese, con il più alto livello di salvaguardia e sorveglianza sul coronavirus“, poi è tornato sui suoi passi e ha deciso di ingaggiare numerosi volti noti per la campagna #iorestoacasa.
Ma c’è ben poco sui canali televisivi. Oltre all’onnipresenza di Amadeus tra uno spot e l’altro, l’assenza di altri canali comunicativi efficaci si fa sentire. Bisognerebbe operare per una divisione tra gli spot per gli anziani e quelli per i giovani. In Italia bisognerebbe cambiare radicalmente la mentalità di un popolo – ma anche di un governo – che spesso si è mostrato sfrontato e insolente nei confronti di una pandemia del genere.
L’Unione Europea c’ha messo del suo, ponendo il MES come il primo dei suoi problemi. Si è deciso di discuterne il 16 marzo, salvo poi rinviarlo a data da destinarsi. Forse qualcuno ha capito in che guaio stava per immettersi. Inoltre tutti gli stati chiudono i loro confini nei confronti dell’Italia. Come già approfondito qui, l’Unione Europea non è servita a nulla. Anzi, le sue manchevolezze sono servite a farci capire quanto inutile sia la nostra permanenza sotto la loro spada di Damocle.
“Italia zona rossa”: Di Maio anticipa Conte
Da lunedì sera l’Italia è una grande zona rossa e nella comunicazione di ciò Di Maio ha anticipato Conte. Preannunciando di pochi minuti il discorso del premier alla nazione, il ministro degli Esteri ha omesso alcuni punti cardine del decreto, innescando una folle corsa alle provigioni nei supermercati e nei tabacchini.
In tarda serata è arrivata la pezza per rattoppare l’errore marchiano, spiegando alla popolazione dello Stivale che si può andare a fare la spesa e che si possono eseguire tante altre azioni. Ancora una volta il governo ha dimostrato la sua incapacità nel coordinarsi. Se proprio avesse dovuto parlare Di Maio per primo, perché non gli è stato fornito un vademecum contenente le FAQ?
L’incapacità di Borrelli e il ritorno di Bertolaso
“Non chiuderemo le frontiere“. Così tuonò Borrelli dall’alto della sua funzione di capo della Protezione Civile. Era il 2 febbraio e ad oggi si contano più di diciottomila casi in tutta Italia. L’incapacità di Borrelli è sotto gli occhi di tutti. E proprio ieri in Lombardia la Protezione Civile ha inviato delle indecenti mascherine, le quali sono state giustamente criticate e gettate via da Gallera.
Adesso il capo della Protezione Civile si ritrova a dover rilasciare le seguenti dichiarazioni: “Stiamo andando a cercare mascherine, respiratori e materiale per l’emergenza Ci troviamo di fronte a una grave pandemia, abbiamo chiesto misure importanti, mi dispiace che ci siano queste polemiche del tutto destituite di fondamento“. In realtà il fondamento c’è eccome, basta difatti fare un raffronto con le parole utilizzate il 2 febbraio.
Nel caos logistico che sta investendo lo Stivale, vi è il ritorno di una notissima figura: Guido Bertolaso. Il medico chirurgo romano, classe 1950, affiancherà – come consulente personale – il Presidente della regione Lombardia Attilio Fontana per la realizzazione del progetto di un ospedale dedicato ai pazienti Covid presso le strutture messe a disposizione della Fondazione Fiera di Milano al Portello.
Lo stesso Bertolaso ha così commentato la sua decisione: “Non potevo rifiutare, voglio dare una mano nell’epocale battaglia contro il coronavirus. La mia storia, tutta la mia vita è stata dedicata ad aiutare chi è in difficoltà e a servire il mio Paese“. Una boccata d’ossigeno per la Lombardia ormai alle corde per la pandemia che ha colpito il suo sistema sanitario.
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