Il successo del modello coreano nella lotta al Covid-19

La vittoria del modello coreano è sotto gli occhi di tutti, ma a che prezzo per la privacy dei cittadini? Seoul ha utilizzato tutti i suoi marchingegni per evitare una seconda MERS.

Modello coreano

Il modello coreano

All’interno del dibattito mondiale incentrato sul metodo più adatto da utilizzare per la lotta al Coronavirus, il modello coreano sembra primeggiare su tutti. Ce lo dicono le percentuali e i numeri legati ai contagi. Semplice intuizione o esperienza dovuta a numerosi collaudi sul campo? Sicuramente la seconda. La Corea del Sud ha già affrontato l’epidemia di MERS nel 2015 un po’ come l’Italia sta affrontando l’attuale emergenza.

Dunque, a distanza di 5 anni dall’ultima tragedia sanitaria, la Corea non si è fatta trovare impreparata. Tramite dei controlli a tappeto e con l’ausilio della tecnologia, i coreani sono riusciti ad attutire il danno sia sociale che economico. Abbiamo già visto l’applicazione di vari modelli in tutto il mondo: il modello cinese, il quale riconosce l’uso della forza e della legge marziale; il modello italiano ormai conosciutissimo e adottato praticamente da tutti.

Si era anche discusso dell’immunità di gregge in Gran Bretagna, salvo poi rifugiarsi in una quarantena all’italiana. Codesto metodo viene comunque utilizzato in Belgio e in Svezia: sì alla prevenzione e alla sensibilizzazione, ma l’economia non si ferma. Invece il modello coreano ha inventato una vera e propria via di mezzo, riuscendo a salvaguardare i cittadini e l’economia senza incappare in sacrifici umani e finanziari.

Un vantaggio non indifferente

Seoul, dallo scoppio della pandemia in poi, si è ritrovata in mano un vantaggio non indifferente. Come già detto poc’anzi, 5 anni fa la Corea affrontò la MERS come l’Italia sta affrontando il Covid-19: pochi kit di prevenzione, malati che affollano i nosocomi e una diffusione rapidissima della malattia. Da quel giorno in poi il Korean Center for Disease Control ha deciso di non farsi più trovare impreparato.

Il picco si è manifestato il 29 febbraio con 909 positivi, ma il governo coreano non si è dato per vinto. Muovendosi rapidamente e con astuzia si è evitata una “seconda MERS“. Appena il governo ha ricevuto la notizia del primo contagio, sono state subito messe al lavoro numerose aziende per produrre 100.000 test al giorno e sono stati vietati gli assembramenti. Nel frattempo, in Italia, il problema veniva sminuito da tutti e si festeggiava con aperitivi a Chinatown.

La Corea del Sud sembra muoversi lungo la stessa linea di pensiero del governatore del Veneto Luca Zaia: sono necessari sempre più tamponi, anche per gli asintomatici. Difatti i coreani se ne sono resi subito conto. I controlli vanno effettuati a tappeto sulla popolazione, onde evitare lo scoppio di focolai incontrollabili. Sono state inoltre istituite 600 stazioni mobili per effettuare il test su ogni cittadino, coadiuvate da visite a domicilio e posti di blocco praticamente ovunque.

Il controllo ‘hi-tech’ e le indagini liberticide

L’analfabetismo digitale non è una piaga tipica della Corea del Sud, anzi, qui l’hi-tech è il padrone indiscusso. Tramite indagini nelle quali gli operatori hanno utilizzato telecamere – scanner della temperatura corporea e triangolazione dei dati sulla posizione degli infetti, i coreani sono riusciti ad evitare le aree potenzialmente atte a diventare dei focolai. Il governo ha inoltre sottoposto ogni cittadino ad un rigorosissimo controllo.

Per evitare contatti tra persone sane e infetti, la Corea ha utilizzato un complesso meccanismo di tracciamento dei contatti. Tramite l’utilizzo di telecamere a circuito chiuso, dei dati di navigazione dei cellulari e il tracciamento delle spese con la carta di credito, il governo di Seoul ha limitato i danni. Inoltre, per completare il totale abbattimento della privacy, i cittadini -tramite messaggi – possono sapere l’esatta posizione e anche la fermata alla quale è sceso un infetto da Coronavirus, così da evitarlo.

I cittadini della Corea del Sud hanno accettato l’abbattimento della loro privacy in nome dell’emergenza, creando una serie di situazioni già analizzate qui. Provvedimenti del genere sarebbero inattuabili in Italia e in Europa per una serie di motivi riguardanti soprattutto il contesto culturale e politico. Ciò che è necessario riportare agli atti è la percentuale di mortalità in Corea, ovvero “soltanto” l’1%.

La vittoria del modello coreano è sotto gli occhi di tutti, ma a che prezzo per la privacy dei cittadini?


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