Mentre l’Italia combatte il nemico invisibile chiamato coronavirus, i nostri studenti continuano a frequentare scuole ed università grazie alla teledidattica. Le lezioni si svolgono tramite piattaforme quali Skype o Team Microsoft, i compiti si svolgono al pc o sul tablet. Si tratta di un vero svecchiamento del metodo, considerando gli strumenti utilizzati dagli insegnati italiani. Ma funziona? Tutti gli studenti hanno accesso a questo “mondo”?
Le strutture scolastiche
“La didattica a distanza è finalmente partita. Secondo una rilevazione realizzata da skuola.net il 90% degli studenti delle scuole secondarie ha ricevuto supporto per le attività. Le scuole si sono organizzate con quello che avevano, principalmente il registro elettronico e una assegnazione di compiti a distanza. Poi piano piano si è cominciato ad utilizzare le piattaforme di e-learning, piattaforme di studio e apprendimento collaborativo.”
Queste le parole di Daniele Grassucci, direttore e co-fondatore di skuola.net.
“…Ovviamente non mancano criticità: non tutti i docenti hanno attivato la didattica a distanza o sono stati in grado di utilizzarla in maniera proficua. E poi, anche le famiglie: non tutte hanno una connettività adeguata”.
Approcciarsi ad un cambiamento, si sa, non è facile. Soprattutto in un periodo storico così delicato. Le istituzioni scolastiche in Italia sono indietro di almeno 10 anni. L’investimento in questo tipo di infrastruttura era necessario, è vero, ma il salto è stato brusco e “brutale”.
La paideia, ancora oggi, rappresenta un modello di formazione umana necessaria, perché mette a confronto l’uomo con la comunità. In questo periodo però, l’interazione docente-alunno viene meno. L’unione è data da una connessione internet che permette un parziale ma distante rapporto visivo, freddo.
La connessione studenti- docenti
Non è facile familiarizzare con la tecnologia, soprattutto per molti docenti, che non hanno un buon rapporto di simpatia con questa. Ma di necessità bisogna farne virtù. Per restare uniti alla propria classe, ai propri alunni, ci si organizza come si può con la teledidattica : lezioni,compiti, chiamate, video conferenze. Metodi alternativi ma che tendono ad avvicinare. Dal punto di vista degli studenti, abituati ad interagire quotidianamente con i social, l’approccio digitale è stato più leggero.
Il ministro dell’ istruzione Lucia Azzolina afferma “Le istituzioni scolastiche che hanno attivato sistemi di didattica a distanza sono riuscite a coinvolgere circa il 94% degli studenti utilizzando molteplici strumenti e l’89% delle scuole ha predisposto specifici materiali per gli alunni con disabilità. I dati del monitoraggio confermano, quindi, una grande solidarietà della comunità scolastica, testimoniata dal 41% delle istituzioni interpellate che hanno attivato forme di collaborazione”.
Digital Divide
Ma non tutti, però, hanno la possibilità di accesso alla rete internet. Secondo una ricerca condotta dall’ISTAT, il 25% delle famiglie italiane è fuori dal web. Un dato elevato per l’epoca in cui viviamo. Il governo italiano sul digital divide non ha fatto abbastanza anche se negli ultimi dieci anni molto si è investito nella Banda Ultra Larga. Ma il divario resta. Il nostro paese è, infatti, l’unico in cui i servizi streaming e console hanno dovuto ridurre la velocità di download. Di conseguenza, non tutti riescono ad avere una connessione salda da poter permettere una fluida visione della teledidattica
Il mancato coinvolgimento nella dimensione digitale comporta un enorme divario. Questo prende il nome di digital divide. La non uniformità in questo caso, data dalla connessione internet, crea una diseguaglianza sociale. Questa “differenza” è inoltre data dai supporti ovvero dai mezzi di lavoro. Non tutti, infatti, dispongono di un pc o di un dispositivo idoneo alla teledidattica.
La stato fa la sua parte?
E’ lo stesso Ministero dell’ Istruzione ad affermare che il 6% degli studenti ha difficoltà con l’attività in rete. E’ un dato basso, ma palese. In base a questa percentuale, il ministro Lucia Azzolina si fa portavoce di un finanziamento “affinché le scuole possano tempestivamente provvedere al potenziamento delle piattaforme e degli strumenti digitali utili per l’apprendimento a distanza e a mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso, dispositivi digitali individuali per la fruizione delle piattaforme stesse”.
Anche l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) ha chiesto un intervento urgente per i ragazzi disabili, per i fuori famiglia, per i minorenni in condizione di povertà e marginalità, per quelli nel circuito penale, per i figli di detenuti, per quelli di famiglie problematiche e per quelli segnati dall’epidemia.
Quando ci si trova con le spalle al muro, si fa quel che si può. Lo “svecchiamento” scolastico era necessario. Magari, in “tempi di pace”, tale processo sarebbe avvenuto gradualmente, da nord a sud come sempre. Con il paese sotto la morsa del coronavirus tutti, o quasi, sono state vittime di questo cambiamento. Un bene? Probabilmente, solo a lungo termine potremmo trarre delle conclusioni.
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