La profezia di Orwell
“Ogni disco è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio rinominato, ogni data è stata modificata. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione“.
George Orwell, celeberrimo autore del romanzo distopico “1984“, è riuscito a vederci tremendamente chiaro sul futuro del mondo già nel lontano 1948. Difatti è impossibile non rimanere attoniti di fronte alla citazione scritta poc’anzi. Nel mondo, dopo l’omicidio di George Floyd, si sta assistendo ad un repentino cambio di rotta dai tratti totalitari. Da un paio di giorni si continua a perpetrare una tremenda furia iconoclasta tipica dei talebani o dell’Isis.
HBO, l’azienda televisiva più potente al mondo, ha deciso di rimuovere dal suo palinsesto il celeberrimo film “Via col vento” poiché, a modo loro, presenta dei contenuti razzisti. Dimenticano però che con questo film, l’attrice Hattie McDaniel vinse il suo primo Oscar. Con la meritatissima vittoria della McDaniel, l’Oscar andò per la prima volta ad una donna afroamericana.
Il medesimo discorso vale per i cioccolatini svizzeri “Moretti“, i quali – anch’essi – sono stati additati di razzismo. Siamo alla fiera dell’assurdo. È proprio vero che l’ultima evoluzione del capitalismo riesce a deviare l’attenzione su aspetti marginali per indottrinare il popolo a riconoscere un falso nemico, quando in realtà è il sistema stesso ad essere il nemico principale della civiltà.
Le radici della civiltà liberale
È innegabile: la civiltà moderna di stampo liberale affonda le sue radici soprattutto nel sangue, nelle violenze e nell’orrore della schiavitù. È sacrosanto spazzolare contropelo la storia per scoprire quali nefandezze si celano dietro ai “fasti” della civiltà liberale moderna. Bisogna decolonizzare l’immaginario storico che continuamente celebra la civiltà liberale come non plus ultra della libertà e dei diritti e squalifica come totalitaria ogni altra esperienza storica.
In realtà l’aspetto totalitario si identifica perfettamente nella furia iconoclasta che sta colpendo l’America, la Gran Bretagna e adesso anche l’Italia con il caso della statua di Indro Montanelli. Si tratta di una barbarie indescrivibile. Una civiltà che abbatte i simboli della propria storia è una civiltà morta, la quale dovrebbe vergognarsi più del suo presente che del suo passato.
Analogo è il caso di Palmira o delle altre meravigliose città mediorientali di epoca romana rase al suolo dai terroristi dell’Isis. Altresì, ritornando al di qua del Mediterraneo, è necessario ricordare quella campagna atta ad eliminare i simboli del fascismo in Italia e quelli del comunismo sovietico nei paesi dell’Est.
Sulla storia non si cambia marcia. Essa deve essere ricordata e studiata soprattutto nell’ambito dei suoi errori per evitare una tragica ripetizione degli stessi nel presente e nel futuro. La storia non è un palinsesto modificabile a piacimento. Non si può pretendere di cancellarla abbattendo statue e monumenti del passato, le quali appartengono – volente o nolente – alla nostra tradizione storico-culturale.
La furia iconoclasta sta commettendo il gravissimo errore di voler eliminare la barbarie del passato peccando a sua volta di nuova barbarie.
Gli stessi pensieri dei filosofi Adam Smith e John Locke, sui quali poggiano le basi del liberalismo moderno, erano permeati da idee che oggi risultano – agli occhi degli stolti – come vere e proprie barbarie. Smith giustificava nel rapporto salariale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, mentre Locke – vessillo della civiltà liberale – aveva dei solidi investimenti nella tratta degli schiavi neri africani.
Con ciò non è assolutamente giustificabile l’abbattimento delle loro statue o il rogo dei loro libri. Piuttosto questi errori compiuti dai due filosofi devono servirci da lezione e per aiutarci a contestualizzare il periodo nel quale essi sono nati e si sono formati.
La furia iconoclasta vorrebbe eliminare la grandezza di Montanelli
Stiamo assistendo a quell'”imbarbarimento della civiltà” teorizzato da Huizinga nei suoi studi sulla storia medievale. Negli USA la furia antirazzista e iconoclasta ha già distrutto le statue di Colombo e di Cecil Rodhes, magnate minerario e politico colonizzatore del XX secolo. Nel Regno Unito gli antirazzisti hanno tolto dal piedistallo la statua di Edward Colston e hanno imbrattato quella di Churchill.
Da Manchester fanno sapere che le statue verranno “revisionate” prima dell’arrivo delle orde barbariche. In Italia ecco che saltano fuori i “Sentinelli” di Milano, un gruppo che si batte contro le discriminazioni razziali e l’omofobia. Proprio loro hanno inviati un appello al sindaco Sala per valutare la rimozione della statua di Montanelli dai giardini a lui intitolati.
La colpa di Indro? Aver acquistato e sposato una ragazzina tredicenne eritrea ai tempi dell’impresa fascista nel Corno d’Africa. Fiano, esponente del PD, ha definito questo appello come una “follia“. Il presidente dei senatori dem Andrea Marcucci fa sapere che non vuole nemmeno ascoltare questa proposta assurda. Secondo lo stesso Marcucci: “Montanelli è stato un maestro per diverse generazioni […] un grande esempio di libertà e fierezza“.
Per la stessa vicenda del “madamato“, nel 2019 il movimento femminista “Non una di meno” aveva imbrattato la statua di Montanelli presso Porta Venezia. L’idea di “abbattere” Montanelli non è soltanto assurda e fanatica. Essa sconta soprattutto il doppiopesismo e la faziosità tipica di questi tempi. Giù le mani da Montanelli, altrimenti bisognerebbe riformare l’odonomastica di tutte le città.
Basti pensare alla “via Lenin” nel comune di Zibido San Giacomo o alle numerosissime strade intitolate a Togliatti o a Tito. Su di esse, ovviamente, vi è un silenzio di tomba. Nel frattempo Sala non riesce a trovare il modo di rendere omaggio a Bettino Craxi.
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