“Mi guarda le storie”: meglio un follow o un caffè?

Un follow in più ha reso quasi inutile l'originalità di una chiacchierata e un caffè. Forse c'è ancora bisogno di social in una società poco sociale? Proviamo a rispondere senza andare nel panico.

Nei tempi del cyberbullismo in cui tutti siamo osservati, controllati e commentati nella giungla dei social è utile chiedersi: meglio un follow o un caffè?

Senza ostentare un ritorno alle origini come nelle comunità Amish sono sempre di più i locali che mostrano targhe del tipo “lasciare i cellulari fuori”. L’estrema oggettivizzazione delle relazioni ha portato, paradossalmente, alla loro virtualità. Il feticcio, per usare un termine caro ai marxisti, è il profilo instagram, la bacheca di Facebook, l’elenco dei followers delle nostre stories.

Una sfida eterna quella tra apocalittici e integrati

In molti si sono chiesti nella storia della sociologia se fosse più importante lo strumento o l’essere umano. E’ la lotta sociologica tra apocalittici e integrati, per citare la distinzione di Umberto Eco, la divisione tra chi è favorevole allo strumento – in questo caso il web – e chi difende l’originalità del contenuto culturale. L’industria mediale ha reso la cultura ancor più di massa grazie agli strumenti come la radio e la tv, oggi il web e i social. La Scuola di Francoforte, Marcuse, i deterministi, ci hanno visto invece, nella replicabilità dell’opera, una mortificazione di quell’aura culturale e unica. I valori sono scesi a compromessi. C’è poi chi, dall’altra parte, ottiene un approccio più distaccato e scientifico, quantitativo: gli strumenti non sono il problema, ma chi li usa.

Il carnevale di Goffman

Goffman amava parlare di maschere e copioni nella società. Tutti mettiamo in scena questo show e replichiamo noi stessi in diversi copioni. E’ il nostro modo per sentirci parte della società. Una cosa simile al totem delle tribù per Durkheim. Siamo parte di qualcosa. I social divengono quindi il “canile” ideal-tipico della società, un posto dove teoricamente si fugge dalle gabbie d’acciaio di weberiana memoria e si finisce in gabbie d’oro di Zuckeberghiana fattezza. Sono i social le nuove gabbie dei millennials? Non sta a noi dirlo, sicuramente l’uso distorto del mezzo ha smosso il fine verso deviati utilizzi.

La questione del follow e del caffè

Meglio quindi un follow, in un’era dove tutto è patinato, reso poster e filtrato dall’iper-realtà? Per molti sembrerebbe di sì, tant’è che fa “tendenza” seguire e non invitare, postare e taggare piuttosto che salutare. In quanti di voi cari lettori avrete persone che vi seguono ma che per strada neanche vi salutano? Una marea indistinta di Grandi Fratelli che sanno tutto di voi, dal caffè che prendete al locale che frequentate. Che importa condividerlo quel caffè o incontrarsi in quel locale? La posterizzazione della realtà ha reso tutto amorfo, forse anche meno romantico e incredibilmente a-virtuale. Nel senso che non è solo una imitazione della realtà ma è la realtà nelle sue fattezze che diviene asincrona e slegata dal soggetto.

Non c’è solo Marx…

Vi abbiamo quindi lasciato nel precedente paragrafo con una riflessione francofortese: l’industria ha vinto, siamo iper-connessi ma sempre più soli. La società reticolare, come la si chiama in ambito accademico, ci unisce, ci rende “presenti” anche a distanza, ci fa prendere il coronavirus prima ancora di averlo realmente compreso. L’iperdiegesi e la velocità dialogica ci ha messo sulla piazza social ma ci ha lasciato al buio davanti alle conseguenze: rendere più facile la conoscenza. Abbiamo acceso i riflettori della comunicazione, abbiamo spento quelli della saggezza? Forse. O forse no. Non c’è solo l’approccio marxista in questa diatriba. I social ci aiutano a informarci, a sapere come stiamo, a documentarci sul mondo o sul vicino di casa. Ci passiamo file, foto, video. Tutto può e diviene potenzialmente virale. In questa nuova giungla siamo leoni e iene. La partita non è ancora finita.

Che fare?

Lenin si sarebbe chiesto cosa fare. Per fortuna sociologia e socialismo sono aspetti che si legano ma non si evirano a vicenda. Abbiamo ancora tante opportunità da sfruttare. Senz’altro il pericolo maggiore è quello dell’autista per strada. Siamo tutti chiusi in un abitacolo mentre traffichiamo nella realtà ma l’individuo si riduce a vettura, numero tra lo schiamazzo quotidiano. Dobbiamo e possiamo invece recuperare l’originalità di un caffè in quel locale.

Poi potremo anche postarlo quel momento e condividerlo. Un uso saggio del mezzo rende saggio il mezzo. Ma siamo noi gli abitanti dell’agorà e nessun altro. E’ bene non dimenticarlo: siamo online ma restiamo esseri umani capaci di essere umani. Possiamo vederci in diretta anche senza diretta. E seguirci l’un l’altro anche e dopo un follow ricambiato. D’altra parte per essere influencer di umanità non serve necessariamente la doppia spunta blu. O forse sì. Restate nel mezzo ma non sul mezzo. 


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